Dalla quarta di copertina:
Con La parola fine Alessandro Annulli ci regala un’opera veramente sorprendente. Abituati, purtroppo di frequente, a scritti privi di un vero piglio letterario, con il suo terzo romanzo l’autore riesce in uno dei compiti più difficili dello scrittore: sorprendere il lettore, perché in quest’opera tutta da scoprire le pagine scorrono rapide ma intense, e quando sembra che tutto sia chiaro ecco che la realtà (o la finzione?) dei fatti narrati sconvolge le aspettative create. Un’anticipazione della trama? Sarebbe riduttiva, piuttosto un invito alla lettura: quanto siete disposti a rischiare di scoprire che immaginazione e realtà possono coesistere nella vita quotidiana? Qualsiasi sia la posta, la lettura la vale veramente!
La trama:
La parola fine racconta la storia di Stefano, un uomo di mezz’età, che perde improvvisamente il suo più caro amico. Le conseguenze di questa perdita sconvolgono la sua vita, pubblica e privata, e allora Stefano cerca rifugio nella scrittura, provando così a realizzare un suo vecchio sogno. Inizia a scrivere un libro di racconti ispirato ai condomini del suo palazzo, un interno per ogni racconto, con una tema dominante: la solitudine. Ma a un certo punto le cose che racconta cominciano ad accadere anche nella vita reale…
Riconoscimenti:
Primo posto al Premio “Il Litorale” (2013).
Targa al Premio "Città di Cava de' Tirreni" (2013).
Finalista al Premio "Mario Pannunzio" (2013).
Segnalazione d'onore al Premio "Firenze" (2013).
Opera selezionata al Premio “AlberoAndronico” (2013).
L'incipit:
Avrei potuto, certo che avrei potuto. Quante volte nella vita ci diciamo“avrei potuto”? La nostra esistenza, a pensarci bene, è un percorso, più o meno impervio, disseminato di una lunga serie di “avrei potuto”. Avrei potuto, per esempio, iniziare questa storia in un altro luogo, un altro tempo. In uno di quei momenti di perfetta solitudine, che, passato il disagio iniziale, di recente ho imparato ad apprezzare. In uno di quei luoghi magici, ma sia chiaro, ero solo io probabilmente a coglierne la magia, che mi hanno fatto buona compagnia in questi ultimi mesi. Luoghi all’apparenza così diversi tra loro, ma tutti in fondo accomunati dalla stessa caratteristica. Luoghi pensati per essere vissuti, o quantomeno attraversati, da folle o gruppi di persone, che io riuscivo a cogliere in situazioni di totale isolamento. Nuotando in quella solitudine, come un pesce in un acquario, provavo a staccarmi dal ritmo frenetico dell’esistenza, dai quotidiani affanni, e mi sembrava di sentire in quel silenzio il rumore stesso della vita. O almeno così credevo...